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Benitez l’ha sempre detto: il Napoli è al 75%. Nel pre-gara di Juventus-Napoli, Conte gli aveva risposto, ironizzando: «se stanno al 75% e sono pari a noi, non ci sarà campionato quando saranno al 100%».
Ciò che l’allenatore della Juventus non ha capito – o ha fatto finta di non capire – si è visto ieri sera. Una sfida come quella con i bianconeri a Torino potrebbe valere, magari non oggi ma chissà poi, molto di più dei tre punti. Nel corso della stagione, in una partita come questa, ci si potrebbe infatti giocare un campionato o una coppa. Non vale quindi il 25% che, secondo il buon Rafa, manca ancora all’appello?
Riesaminando la stagione, si nota infatti che, tralasciando i due punti persi in casa con la matricola Sassuolo, che pur di lì cominciava a ingranare, la compagine partenopea ha vinto tutte le partite con la sola eccezione di tre sconfitte: Arsenal, Roma e Juventus. Tutte big match, tutte in trasferta.
Il problema quindi che sottostà al 25% di ammanco è e resta proprio questo: la squadra ancora non ha sviluppato la capacità di gestire in gioco e testa partite del genere; ed è qui che bisogna migliorare.
Si appannano infatti le geometrie di Inler e persino la rudezza di Behrami, Hamsik non riesce a imporsi, la difesa balla. Chi si salva? Gente come Higuain, Pepe Reina, Raul Albiol. «Questione di esperienza internazionale» direbbe bene ADL. A targhe alterne Insigne, che in questi match può essere latitante o migliore in campo. Esperienza internazionale? No, sfacciataggine di un ragazzo cresciuto col mito del calcio in una città come Napoli.
Ed è forse anche questa sfacciataggine, questa caparbietà, quest’aggressività che farebbe comodo averne in abbondanza. Così da non esser più magari la squadra che fa meno falli d’Italia e non sempre prescindere solo e soltanto dal gioco. In poche parole imparare nuovamente a vincere queste partite, che nel calcio fanno storia a sé.
Questo è quindi quello che Conte non ha capito; o meglio che ha fatto finta tanto simpaticamente di non capire. Perché l’antipatico Antonio, come forse preferirà esser chiamato, non è uno stolto né un principiante. Ama semplicemente stare con un piede in due scarpe, sfruttando all’occorrenza una delle due facce della stessa medaglia.
Antonio Conte è lo special one quando vince, con quella spavalderia da prima della classe (da più forte, che tutti lo sappiano!), permaloso come chi ama sfottere ma non essere sfottuto. Somiglia anche a un altro grande, anche questa volta legato da un passato nerazzurro: Helenio Herrera. Inguaribile istrione come lui, santifica il “suo” 3-5-2, che poi era di Mazzarri, così come il tanghero argentino faceva con il “suo” libero, che scoprì e copiò spudoratamente da Nereo Rocco.
Antonio Conte è però anche il Giuseppe Sannino di turno.
Non me ne abbia il caro Giuseppe, di cui tra l’altro sono grande estimatore, non parlo di questioni squisitamente tecniche o tattiche. Lo uso come esempio solo in qualità di allenatore della temporanea “ultima della classe”.
Dopo due anni di successi con quattro trofei all’attivo ancora “protegge il colpo”: “non siamo i più forti”, “gli altri hanno speso di più”, “gli altri comprano noi vendiamo”, “ci destabilizzano l’ambiente” etc. etc. in un piagnucolio in netta controtendenza con quanto detto prima; un piagnucolio talmente costante e stantio che, ormai, ha già da tempo stancato. E di questo comincia a soffrirne anche l’ambiente.
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