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La Supercoppa Italiana, una coppa, un trofeo, che al Napoli e al suo pubblico mancava da oltre vent’anni. Da giocarsi nell’arco di novanta – poi centoventi – minuti di fuoco contro la Juventus, non un semplice avversario ma quello di sempre. Forse questo intendeva l’allenatore del Napoli Rafa Benitez quando, nella conferenza stampa pre-partita, aveva dichiarato di non dover motivare i calciatori, che il match l’avrebbe fatto da solo. E giù critiche, come del resto su tutte le sue scelte ad esempio di formazione, con in primis Gargano in mediana con David Lopez al posto dei più quotati Inler e Jorginho in panchina, per non parlar di Mertens superato nelle gerarchie della finale da De Guzman. Ma alla fine la ragione è sempre di chi vince e Benitez, il Re di Coppa come ora lo chiaman tutti, ha vinto e lo ha fatto con il suo Napoli.
Ha vinto, soffrendo certo. Ma anche giocando bene, sin prisa sin pausa, a moto perpetuo schiacciando per lunghi tratti la Juventus nella propria metà campo, chiusa a difendere. Strategia ben precisa, quella di Allegri, molto conservativa e, diciamolo pure, troppo superficiale. Per una squadra che era passata in vantaggio subito, al quinto, con un gol di Tevez, bravo e rapace ad approfittare di un goffo regalo di Natale infiocchettato dalla premiata ditta Koulibaly-Raul Albiol. Bianconeri che poi si erano seduti, subendo da un Napoli più prodigo e pressante, che con la ragnatela di passaggi e passaggini monopolizzava il possesso del pallone, sfiorando a cavallo dei due tempi più volte il gol del pareggio, urlato e maledetto per due volte vanamente sui legni – clamorosi – di Hamsik e Higuain e raggiunto solo dopo il 60esimo con una rete del Pipita. Per un botta e risposta tra i due argentini, rivali pure nell’albiceleste, rinnovato ancora dal gol di Tevez nel primo supplementare, al minuto 106, – magia con le gambe su Koulibaly e diagonale letale a incrociare – prima della zampata ancora del numero 9 azzurro al 118esimo, praticamente l’ultimo soffio. Rete magari non stilisticamente bella come quella del bianconero ma di certo ugualmente – se non più – efficace.
Alla fine ci sono voluti i rigori, quindi, per decidere una partita non sempre bella sul piano tecnico e dell’intensità, ma di certo avvincente ed emozionante. Con i due portieri, a confronto, davvero decisivi. Del resto è stata anche la loro partita. Rafael, da una parte, che per più di un paio di volte aveva salvato da protagonista il risultato su Tevez, che induce poi lo stesso argentino all’errore dal dischetto, nel primo calcio di rigore, e si oppone a Chiellini – primo match-point fallito, poi Pereyra batte alto – e a Padoin, nell’ultimo fatale errore. Dall’altra parte Buffon, non di certo un pivellino nel campo di finali, che nonostante una prestazione da incorniciare – più volte decisivo su Higuain, Callejon, Hamsik – vede ancora una volta sfumare dalle mani la vittoria di una coppa, di nuovo ai rigori come a Manchester. Non bastano le parate su Jorginho, Mertens e Callejon, questi ultimi due forse i grandi assenti della partita, alla fine guantoni in faccia e tanti rimpianti. La medaglia al collo, per lui, è solo d’argento.
Perché il risultato premia il Napoli, che più di tutto ha avuto il grande merito di non abbattersi mai, di continuare a credere nei propri numeri e nella possibilità di poter trionfare, alzando alla fine la coppa al cielo. Gesto che tocca ad Hamsik e con luiDe Laurentiis, che “s’imbuca” in quella sacra ritualità tanta è la felicità per il terzo titolo della sua gestione. Per un Napoli, vincente, che ora che ha capito come vincere non si vuole più fermare!ue
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